19 Agosto 2016
Il 6º Giorno dell’ Università ha aperto le danze con la proiezione di 2 film sulle comunità Rastafariane. Il lungometraggio di Giulia Amati, ‘Shashamane – On The Trail Of The Promised Land’ (Sui binari per la terra promessa), ha documentato il rimpatro dei coloni in Etiopia. Il corto del regista inglese Stephen Rudder “10 Miles Bull Bay”, ha esaminato l’accampamento Bobo Ashanti in Giamaica. I registi hanno poi svelato il soggetto ritratto con la D.ssa Giulia Bonacci, autrice di Exodus – Eredi e pionieri: il rastafarianesimo torna in Etiopia’, e Ras Flaco, ‘I-Lect of Records’ per il Nyabinghi Order.
A beneficio del pubblico, Flako ha enumerato le differenti ‘dimore’ dei rastafariani come quella di Nyabinghi, quella di Bobo Ashanti ed altre 12 tribú specificando: “una dimora vale l’altra, sono tutte Rastafariane.”
Amati ha spiegato al moderatore David Katz che il suo progetto, giunto al quarto anno di attivitá, non fa che continuare il lavoro del progetto ‘This is my land…Hebron’ che tratta dei coloni della West Bank. L’idea di andare a visitare il Rastaoutpost di Shashamane è scaturita dalla lettura del libro del Dr. Bonacci. Amati fa notare comunque che “la comunitá era alquanto chiusa e mi ci è voluto un po’ per essere accettata”
Rudder, la cui compagnia Quiet Voice specializzatasi nel “segnalare voci ascoltate raramente” ha scoperto Bobo Ashanti durante il proprio viaggio nel rastafarianesimo. Mentre visitava alcuni suoi contatti nelle Barbados, Rudder viaggiò per 12 giorni in Giamaica, conquistandosi gradualmente la fiducia degli anziani di Bull Bay ed ottenendo che gli permettessero di filmare rituali selezionati. L’esperienza fu così intensa che non potè cominciare a mettere mano al proprio materiale per almeno un anno dal suo ritorno.
La D.ssa Bonacci ha spiegato che Exodus scaturì da ciò che risultava essere un “grande corpus di conoscenze sul rastafarianesimo ed il ‘ritorno all’Africa’ ma nulla su chi effettivamente visse il ritorno”. Lei aspirava ad inserire la narrativa del rimpatrio Rasta all’interno di un contesto di piú ampio respiro, comprensivo di tutti i ‘ritorni’ dell’ 800 e ‘900.
La ridistribuzione del terreno giamaicano da parte di Halie Selassie nel 1966, subì un brusco rallentamento dopo la sua detronizzazione nel 1974. Entrambi i registi hanno segnalato che i rifugiati erano finiti in un ‘limbo sociale’ – vedendosi negata tanto la cittadinanza africana quanto il supporto da parte del paesi dai quali rimpatriavano.
La Amati ha tentato si chiarire la propria decisione di non identificare il movimento con nessuna ‘testa pensante’ (come il manager di Bob Marley, Skill Cole), volendo piuttosto dar vita ad un “racconto corale” in cui a parlare fossero i testimoni non famosi (senza troppo evidenziare la figura di Bob Marley ed i “clichè” sul consumo di ganja).
Dal pubblico è stata avanzata l’ipotesi che forse i Giamaicani, che tanto hanno sudato l’essere accettati dalla comunitá Etiope, avrebbero sofferto meno tornando sulla sponda occidentale dell’Africa, verosimilmente patria dei loro avi. La Bonacci ha risposto che, per quanto l’Etiopia non fosse stata toccata dalla tratta degli schiavi nell’Atlantico, resta comunque una nazione simbolica, essendo l’unico paese africano menzionato nella Bibbia. La professoressa della UWI Carolyn Cooper, seduta tra il pubblico, ha avuto l’ultima parola sulla questione dicendo:“ricordiamoci che la parola Etiopia deriva dal greco ‘faccia bruciata’ e identifica l’Africa in generale. L’identità Afro è di stampo globale”.