17 Agosto 2015
Ma andiamo per ordine: un grande inizio del grande bassista Lloyd Parks al comando della sua We The People Band ha scaldato l’atmosfera prima dell’arrivo di Josey Wales che insieme a Brigadier Jerry ha dato un saggio di grande dancehall del passato da mettere assolutamente nei freschi ricordi del festival di quest’anno accanto alla grande prestazione di Super Cat di ieri sera.
Il primo segmento di ‘Colonel’ Josey Wales lo ha visto raggiungere livelli di grande energia sui ritmi sparati a mille dalla We The People e dopo tiratissime rese di suoi classici come per esempio ‘Leggo mi hand’ ha chiuso un esibizione da manuale portando per la prima volta al festival la country music con la sua ‘Bushwacked’, ironica cronaca di come sia scampato alla morte in un tentativo di rapina da cui è comunque uscito con serie ferite da arma da fuoco. Brigadier Jerry ha seguire ha dimostrato di come il deejay style attinga dalle più svariate fonti dell’immaginario popolare giamaicano come per esempio il gospel e la musica sacra ed ha cantato con grande convinzione la sua fede in Rastafari esprimendo i valori positivi della sua musica. Questo primo set si è coronato con i due insieme sul palco ad evidenziare le differenze di stile con Briggy più rilassato e sicuramente Josey vocalmente più ‘cattivo’.
Deciso cambio di scenario e sale a questo punto sul palco accompagnata dalla sua band dall’età media molto giovane la leggiadra Hollie Cook: c’è quasi contrasto tra i ritmi tirati influenzati dal roots inglese degli anni settanta ed il suo approccio vocale molto etereo e sognante. Hollie mette da parte subito l’emozione di essere su un palco così importante e volteggia con grazia sul palco rispondendo con piacere agli incitamenti del pubblico. Suele catalogar su música con el apelativo de “pop tropical” su estilo tiene al mismo tiempo estilo, sustancia y gran ligereza. El show se despacha facilmente entre bellas canciones de sus primeros trabajos y convence totalmente al público. E’ solita catalogare la sua musica con l’appellativo di ‘pop tropicale’ ed il suo stile ha allo stesso tempo stile, sostanza e grande leggerezza. Lo show fila via liscio tra le belle canzoni dei suoi primi due lavori e convince assolutamente il pubblico.
Dopo Hollie il Main Stage si prende una pausa dalle atmosfere di matrice giamaicana con il bel concerto di Chambao, artista spagnola che modernizza il flamenco con un approccio molto ‘world music’ ed influssi di matrice pop. L’inizio del concerto è molto ipnotico ed evidenzia gli influssi della musica araba nel flamenco. La band segue ottimamente la cantante con la chitarra acustica flamenca in evidenza e ci sono momenti più rallentati alternati invece a momenti in cui il battito aumenta con ad un certo punto la voce di Chambao si distende su un bel ritmo reggae.
Nel gran finale torniamo in Giamaica con la serata magica di un grande interprete del reggae contemporaneo come Jah Cure, artista dalla voce tormentata e dal repertorio tra romanticismo, consapevolezza Rasta e ‘reality songs’. Cure parte in quarta ed appare in grande forma in un felicissimo momento della sua carriera evidenziato dal suo ultimo lavoro ‘The cure’. La sua voce ricorda a tratti nei suoi momenti più sofferti quella di Beres Hammond e vista una certa somiglianza ricorda sul palco un giovane Gregory Isaacs. Lo show è vivacissimo ed ha grandi momenti: Jah Cure cita Sizzla e Richie Spice, dedica la struggentre ‘Reflections’ a Buju Banton, lancia un certo numero di magliette al pubblico e dopo vari classici come ‘Longing for’ alternati a brani del nuovo lavoro conclude un grande show come si è detto con ‘Who the cap fit’ di Bob Marley.
Lo spirito di Bob e dei Wailers non può abbandonare mai il festival: domani infatti ci aspetta il mito dell’unico sopravissuto a questa esperienza, ‘Jah B’ Bunny Wailer.