18 Agosto 2018
Le piogge sporadiche non hanno fermato lo spirito del Rototom nel venerdì del suo storico 25º anniversario. Il Main Stage è stato testimonio di una lezione magistrale di dancehall, impartita dall’esperto cantante Johnny Osbourne, che ha chiuso lo spettacolo di due hore del duo drum and bass, Sly and Robbie e accompagnato dai Taxi Gang.
Ancora una volta la scaletta propone artisti californiani e giamaicani, peró questa volta i californiani sono stati i primi a cominciare. Il gruppo reggae progressivo Groundation, capitanato da Harrison Stafford, torna al Rototom per la terza volta, con una nuova formazione di musicisti nominata da Stafford come The Next Generation. Il viso e il corpo del barbuto Harrison si è mosso in accordo al compromesso con la sua música e con il suo messaggio rastafari. Ricorda a tutti che quel giorno era il compleanno di Marcus Garvey e ci regala una versione di Marcus Garvey dei Burning Spear, così come materiale originale come Hebron. Il pubblico infrangibile ai piedi del palcoscenico sotto la pioggia, ha donato al momento una sensazione biblica.
In seguito il pubblico si disperde peró rientra giusto a tempo per l’arrivo in scena di Sly and Robbie e la Taxi Gang, con l’incorporazione del trombonista Henry Matic Tenyue e il sassofonista Guillaume Stepper Briard. Durante Shine Eye Gal di Black Uhuru la batteria di Sly Dunbar esplodeva come fuochi artificiali e il basso di Robbie Shakespeare generava un’attrazione gravitazionale come quella di un piccolo pianeta, prima che una processione di cantanti invitati passasse dal palcoscenico. L’ex stella infantile svedese Junior Natural, adesso fatto uomo, ha cantato due canzoni del suo album Militant prodotto da Sly and Robbie. La voce di Bitty McLean proveniente da Birmingham, Inghilterra, che pochi giorni fa ha celebrato il suo 46º compleanno, ancora suona giovane come sempre. Pure lui ha fatto omaggio a Marcus Garvey con una dolce versione di Redemption Song, passando il microfono a Robbie durante una versione melodica di Queen Majesty di Curtis Mayfield.
Al contrario la voce della stella DJ albino Yellowman è decisamente diversa a quella del suo apice. Però sembra rinato e cosciente, Yellowman ha mostrato una presenza molto più edificante e positiva. Vestito con indumenti sportivi adornati con teschi, condivide con il pubblico successi come Nobody Move e Zunguzeng, seguiti da una versione di Bam Bam dei Maytals (interpretata pure da Cocoa Tea il giorno prima).
Dopo viene il turno della seconda delle “due leggende viventi”, Johnny Osbourne, che dall’inizio ha proclamato se stesso come l’artista della serata. “ c’ero negli anni 60,70,80,90 e nel nuovo millennio”, spiegava mentre cantava temi roots storici come Truth and Rights, Lovers Lamets, Ice Cream Love e classici digitali dancehall come Buddy Bye. E per concludere invita Bitty Mclean per cantare con lui il suo pezzo Jahovia.
Finalmente arriva il momento della immutabile leggenda vivente, Jimmy Cliff con 70 anni, che chiude la scaletta della notte. Indossa una giacca rossa brillante e un cappello nero con un símbolo ankh d’orato nel frontale. Mr. Cliff e il suo gruppo di professionisti, dimostrano la naturalezza eclettica del loro amplio repertorio. Dai tamburi rasta di Rivers Of Babylon a un movimentato Rub A Dub Partner, passando per le ballate Wild World e Many Rivers To Cross fino la tenacità di Harder They Come, Jimmy ha fatto un ripasso di tutto. Il più spiccato del set è stata una sezione di ska che ha incluso successi iniziali come King of Kings e Miss Jamaica. Il testo di I Can See Clearly Now è stato pieno di significati letterali dopo la pioggia dell’ora prima.